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DAD: cosa rimane alle famiglie ed alunni?

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Siamo alla fine dell’anno scolastico e la DAD lascia finalmente il passo alla presenza in classe. Prendiamo spunto da una ricerca Unicef (condotta a livello europeo su tre milioni di studenti di diverse fasce di età https://www.unicef-irc.org/publications/pdf/la-didattica-a-distanza-durante-l%E2%80%99emergenza-COVID-19-l’esperienza-italiana.pdf ) per capire cosa insegna questa esperienza, cosa rimane alle famiglie, cosa è cambiato per sempre tra gli alunni.

Ne parliamo con la Dr.ssa Rosida Marasco, psicologa clinica e della salute e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, che svolge la sua professione nel privato e anche all’interno delle scuole in qualità di psicologa scolastica.

Nelle prossime righe scoprirai che la DAD è stata una prova di adattamento per grandi e piccini, ognuno dei quali ha risposto in modo diverso, che i genitori si sono trasformati in insegnanti, con alterne fortune, che alcuni ragazzi hanno reagito meglio, appena lasciati soli, che alcuni genitori hanno capito di non potersi sostituire al gruppo dei figli, e che soprattutto la DAD è stata una esperienza difficile, ma utile per riscoprire se stessi.

Seguici nell’intervista, dai.

È bene, prima, parlare di cosa sia significato il look down. Quanto ha limitato la vita alle famiglie?

9 marzo! La nostra vita prima trascorreva tranquilla tra lavoro, casa, scuola, svaghi e sport. Dopo, tutto è cambiato. Attenzione, andiamo oltre le restrizioni. La Pandemia ha significato altro: un senso di pericolosità e vulnerabilità, oltre che un senso di impotenza e di incapacità nel far fronte alla situazione.  Aspetti sicuramente da non sottovalutare per tutte le fasce d’età, anche perché ognuno di noi vive in contesti di relazioni e le difficoltà del singolo possono ripercuotersi nelle interazioni.  

Proprio in questa condizione di stress, i genitori e gli alunni si sono ritrovati ad affrontare la DAD. Prima Internet era un mezzo importante per la socializzazione virtuale e per le attività di svago senza movimento. Con il Look down è diventato il primo strumento per apprendere e l’unica via di interazione con la scuola, gli amici e la famiglia. 

Nessuno di noi era preparato. I rapporti umani da cosa sono fatti? Dalla vicinanza fisica, dagli abbracci, dagli sguardi e dalle strette di mano. In parole povere, dal contatto! Poi, sono avvenute le sostituzioni. Il contatto fisico è stato sostituito dalle videochiamate con amici e parenti. Il lavoro attivo è stato sostituito dallo smart working. L’istruzione è stata affidata alla Didattica a Distanza. Adulti e bambini hanno subito le stesse limitazioni. Solo che…

Solo che?

Penso ai bambini e ai ragazzi. Le interazioni e i contatti fanno parte di un processo vitale, importante per la crescita. Ecco!

Non avevamo altra possibilità.

Certo. E va bene così, sa! Pensi se non ci fosse stato internet. Abbiamo potuto mantenere i rapporti sociali, grazie al digitale. Però, la Pandemia ci ha imposto nuove forme di adattamento e non tutti sono riusciti a cambiare le proprie abitudini.

Non tutti sono riusciti ad adattarsi, è vero. Voi psicologi cosa avete notato?

La Pandemia è un evento stressante. Ogni individuo ha cercato di adattarsi per raggiungere un nuovo equilibrio, ma non siamo tutti uguali. C’è chi ha vissuto più difficoltà e, di conseguenza, l’equilibrio è divenuto una sorta di miraggio. In questi casi,   ecco che si possono manifestare malessere o disagio psicologico.

A tal proposito, uno studio pubblicato sulla rivista Lancet evidenzia come possano insorgere sintomi di stress post-traumatico,  depressione, sentimenti di rabbia e paura e perfino abuso di sostanze, che diano l’illusione di farcela.

Come si sono adattati i ragazzi e i bambini? Dalla ricerca dell’Unicef si evince che la percezione dell’uso del digitale e la fiducia in questo mezzo sono state diverse tra i gruppi coinvolti. 

Si legge che nell’uso del digitale, i piccoli hanno mostrato meno fiducia perché erano meno abituati all’uso, rispetto ai grandi. Sono stati, però, più sereni durante la DAD.

I ragazzi, invece, hanno avuto più fiducia nel mezzo, ma hanno manifestato spesso l’ansia di apprendimento e la paura di non essere al passo degli altri.

Come commenta?

Purtroppo, è vero.

L’indagine “I giovani ai tempi del Coronavirus” (condotta da IPSOS per Save the Children, n.d.r.) conferma che 4 ragazzi su 10 bocciano l’esperienza con la DAD. In generale, la maggiore difficoltà sperimentata è rappresentata dalla fatica a concentrarsi per seguire le lezioni online (citata da quasi un ragazzo su 2, 45%). Inoltre, più di 7 ragazzi su 10 (72%) ritengono che con la DAD sia più difficile imparare cose nuove e socializzare con i compagni.

Clinicamente, io stessa ho osservato un aumento dei vissuti d’ansia correlati alle prestazioni scolastiche, alla paura di non riuscire a portare a termine i compiti assegnati. In alcuni casi, qualche ragazzo cominciava a pensare di “lasciare la scuola”.

Che idea si è fatta?

Che oltre alla difficoltà di adattamento ci sia dell’altro. Credo che gli studenti, trovandosi sempre nel medesimo ambiente domestico, hanno avuto la sensazione di non staccare mai la propria attenzione dallo studio, sentendosi più stanchi e demotivati nello svolgimento dei compiti.

Cosa ha insegnato alle famiglie questa esperienza? La ricerca dell’Unicef parla di genitori “consapevoli” che hanno aiutato i propri figli direttamente ed altri che sono ricorsi ad uno psicologo. Cosa potrebbero fare i genitori per migliorare l’approccio che hanno i bambini?

Cosa deve fare un genitore? Osservare e farsi delle domande:

  • Riscontriamo dei cambiamenti a livello comportamentale? Notiamo delle differenze rispetto a un tempo passato? Maggiore irritabilità, disturbi del sonno, l’alterazione dell’appetito, la tendenza all’isolamento, la difficoltà di concentrazione e quindi scolastiche?
  • Senza prendere in considerazione la DAD, quanto tempo viene trascorso davanti il computer, smartphone e altri dispositivi tecnologici?
  • Un genitore può notare se la modalità online sta sostituendo, in gran parte, la vita reale e proporre loro delle attività alternative. A tal fine, si potrebbero assecondare le loro attitudini (ad esempio, lettura di libri, disegno e pittura, lavori manuali di meccanica, bricolage, attività fisica fuori e/o dentro casa, etc.) e provare a creare dei momenti di partecipazione alle attività quotidiane e di condivisione con la famiglia.
  • I nostri figli trascorrono molto tempo in casa, senza coltivare i rapporti sociali?

Anche questo è un segnale importante di una forma di disagio-malessere, quindi da tenere in considerazione.

 In un certo senso, la Pandemia ha riscoperto il ruolo del genitore.

Allora, parliamone di questi genitori. Secondo le ricerca, i genitori hanno dovuto svolgere il ruolo di insegnanti, mentre svolgevano le normali attività quotidiane. La confusione c’è stata?

Non generalizziamo. Il bambino o il ragazzo non è un nucleo a sé, fa parte di una famiglia e continua ad avere sempre bisogno di un supporto. I genitori questo fanno, supportano!

Con la pandemia ogni genitore si è trovato ad affrontare difficoltà personali, interpersonali e lavorative, in aggiunta a quelle correlate alla gestione scolastica dei propri figli e, di certo, ogni genitore ha cercato di fare del proprio meglio.

A proposito di supporto, due aspetti si colgono dalla ricerca.

Circa il 45% dei genitori intervistati ha manifestato ansie e preoccupazioni per non essere in grado di supportare le fatiche mentali dei propri figli.

Supportare i propri figli negli impegni scolastici, in questo periodo, è più impegnativo perché ci sono state tante novità a cui abituarsi. Supportare e aiutare non significa sostituirsi ai figli che necessitano di acquisire autonomia e hanno bisogno di sbagliare per imparare a correggersi e a sviluppare una serie di competenze, utili nella crescita. Spesso, ad esempio, i genitori hanno la tendenza a preparare le verifiche come se fossero loro stessi a doverle sostenere, in simili situazioni è normale sentirsi molto preoccupati.

Sa che il grado di istruzione non ha aiutato? Chi aveva un grado medio alto era più preoccupato (circa il 59%) e di conseguenza più ansioso e stressogeno.

Il comportamento dei genitori è senz’altro comprensibile, anche perché molte delle aspettative sul futuro dei figli sono associate al successo negli studi e quindi al livello di istruzione. I genitori con un grado medio alto di istruzione spesso si aspettano, con maggiore probabilità, che i propri figli acquisiscano almeno il loro stesso livello di istruzione e, di conseguenza, possono vivere con maggiore preoccupazione le eventuali difficoltà scolastiche.

Però c’è una lezione che i genitori dovrebbero acquisire.

Quale?

I genitori vivono con più apprensione se considerano queste difficoltà dei figli come un “problema difficile” da affrontare e risolvere piuttosto che come momenti dai quali è possibile, comunque, apprendere.

Alcuni genitori, credo, che abbiano lasciato i loro figli nel marasma semplicemente perché non potevano fare altro.

Circa un terzo degli intervistati, infatti, ha dichiarato di non avere avuto tempo per le attività scolastiche dei propri figli. Molti, inoltre, non avevano l’adeguate conoscenze digitali per il supporto scolastico.

La DAD, è vero, richiede un sostegno diverso e, per certi versi, più impegnativo da parte dei genitori. Gli orari cui adattarsi (con maggiore difficoltà nelle famiglie con più figli) e la necessità di avere supporti tecnologici e rete internet adeguati sono solo alcuni dei problemi che hanno dovuto affrontare. Potrei dire che in questo caso l’adattamento ha attraversato la famiglia, senza scampo.

E arriviamo alla sorpresa. Chi sono quelli che si sono adattati meglio e più velocemente? Mi sarei aspettato di ritrovare da questa parte solo le famiglie più agiate e i ragazzi con più mezzi. Non è stato così. Il 57 % dei genitori con più difficoltà lavorative ed ambientali ha notato che i propri figli si siano impegnati di più nella DAD che in presenza, non solo. Hanno mostrato maggiore capacità organizzativa del proprio tempo nell’organizzare le attività scolastiche rispetto al periodo precedente il blocco.

È la dimostrazione che le difficoltà ad adattarsi sono un percorso di crescita, da vivere con serenità.

La DAD non è, però, solo didattica, ma anche distanza sociale.

Mettiamo un punto fermo: la Scuola è un grande laboratorio di socialità, fondamentale per lo sviluppo dell’individuo. Nella scuola l’individuo ha la possibilità di confrontarsi, rapportarsi ai coetanei e creare legami. E poi c’è la routine: orari da rispettare per andare a scuola, pausa per la ricreazione che diventa il momento di confronto e di gioco, il momento delle interrogazioni fatto di scambio di sguardi, che aiutano e sostengono. Tutto questo, purtroppo, viene meno con la DAD.

Alcuni intervistati hanno dichiarato: “a forza di stare sempre con i genitori io non so più chi sono, non mi sento più”. L’intrusione” delle famiglie è stata evidente. I genitori sono stati ingombranti, a causa del look down. Quel che avrebbero dovuto fare da soli l’hanno dovuto condividere con il padre e la madre, anziché con gli amici. È solo delusione per il vissuto o c’è anche altro?

Cominciamo dai genitori. Il punto di partenza!

La famiglia è il “porto sicuro” cui fare riferimento ma la realtà esterna esercita un ruolo importante, soprattutto durante l’adolescenza.

Già, l’adolescente! È forse il soggetto più delicato, perché vive il passaggio dall’essere bambino al diventare presto adulto. 

Perché? Vede l’adolescenza comporta continue trasformazioni ed evoluzioni, spesso interpretate come momenti di instabilità e volubilità. Cosa fa in questo periodo l’adolescente? Oscilla tra il bisogno di autonomia e vissuti di dipendenza dai genitori. È un movimento fondamentale. Questo passaggio dall’uno all’altro è necessario per l’acquisizione di un’identità personale unica e definita, che permette di percepirsi con una precisa definizione di sé in termini di personalità, di motivazioni, di valori, di credenze e preferenze.

Acquistare delle consapevolezze non basta, serve altro.

Cioè?

Tutto quel che un adolescente impara deve condividerlo col gruppo di coetanei.

Il gruppo è come un “laboratorio sociale” in cui l’adolescente si sperimenta e mette alla prova ciò che ha acquisito in altri contesti di socializzazione, come quello familiare: l’altro è come una sorta di specchio in cui poter rivedere i propri dubbi, preoccupazioni e paure.

Solo che i rapporti sociali sono stati intermittenti. Si passava dalla gioia di potersi vedere alla constatazione che un attimo dopo questo non sarebbe stato più possibile, perché nel frattempo la scuola chiudeva o si ritornava in zona rossa.

La chiusura forzata ha influito sulla crescita e sui bisogni di appartenenza al gruppo. È venuta meno una parte vitale, inutile recriminare. Anzi, questo percorso di sofferenza farà parte del loro nuovo bagaglio di esperienze.

E torniamo ai genitori, che avrebbero dovuto e dovrebbero fare?

I genitori possono riconoscere ai propri figli delle autonomie, appropriate all’età specifica, per far questo dovrebbero cercare di fare un passo indietro, accettando la possibilità di vederli affrontare frustrazioni più o meno grandi ma utili per continuare nel percorso di crescita e sperimentarsi.

Però alcune esperienze, che di solito si fanno ad una certa età, non si faranno più. Non ce ne sarà la possibilità. È davvero così? I ragazzi ne hanno consapevolezza?

La pandemia ha cambiato l’esistenza di tutti noi, questo non significa che siamo entrati in un tunnel senza uscita! Non ci è utile guardare al passato, a quello che si è perso o che si sarebbe potuto fare, perché non possiamo intervenire. Suggerisco di promuovere e incoraggiare un atteggiamento rivolto al “momento presente”, quindi a quello che possiamo fare “ora” per vivere una vita ricca, piena e significativa.

Cioè?

Tutto quel che un adolescente impara deve condividerlo col gruppo di coetanei.

Il gruppo è come un “laboratorio sociale” in cui l’adolescente si sperimenta e mette alla prova ciò che ha acquisito in altri contesti di socializzazione, come quello familiare: l’altro è come una sorta di specchio in cui poter rivedere i propri dubbi, preoccupazioni e paure.

E la pandemia cosa ha causato? I rapporti sociali sono stati intermittenti. Si passava dalla gioia di potersi vedere alla constatazione che un attimo dopo questo non sarebbe stato più possibile, perché nel frattempo la scuola chiudeva o si ritornava in zona rossa.

La chiusura forzata ha influito sulla crescita e sui bisogni di appartenenza al gruppo. È venuta meno una parte vitale.

Alcune esperienze, che di solito si fanno ad una certa età, non si faranno più. Non ce ne sarà la possibilità. È davvero così? I ragazzi ne hanno consapevolezza?

La pandemia ha cambiato l’esistenza di tutti noi, questo non significa che siamo entrati in un tunnel senza uscita! Non ci è utile guardare al passato, a quello che si è perso o che si sarebbe potuto fare, perché non possiamo intervenire. Suggerisco di promuovere e incoraggiare un atteggiamento rivolto al “momento presente”, quindi a quello che possiamo fare “ora” per vivere una vita ricca, piena e significativa.

Conclusione

Senta Dr.ssa Marasco,  il prossimo anno potrebbe tornare la DAD, potrebbe tornare l’intermittenza nei rapporti sociali. Come ci possiamo preparare?

Mi piacerebbe dispensare una formula magica per far fronte in modo immediato al malessere dovuto all’intermittenza dei rapporti sociali, ma la verità è che non esiste.

Però ci sono delle cose che possiamo fare.

La prego…

Possiamo provare ad “accettare” quello che è fuori dal nostro controllo personale (la pandemia con le sue restrizioni) e, al contempo, impegnarci ogni giorno nell’intraprendere azioni che arricchiscono la nostra vita.

Possiamo, anche nella situazione più difficile, sempre domandarci: “Per chi o per cosa voglio vivere la mia vita?”, “Che cosa conta davvero, nel profondo del mio cuore?”, quindi rispondendo a questi quesiti possiamo decidere di agire a piccoli passi, nel momento presente.

Ho detto piccoli passi, non cose eclatanti. Bastano semplici e piccole azioni, ad esempio: per i nostri figli è importante tenere vive le relazioni con i compagni di classe e gli amici? Se le misure restrittive obbligano a stare in casa, utilizziamo la videochat. Certo, non è come un abbraccio dal vivo, ma è comunque un momento di gioia che permette una condivisione nel momento presente e soprattutto, consente di fare dei passi in direzione di ciò che è importante: coltivare le relazioni sociali.

È vero, le cose possono andare male ma la nostra vita è sempre preziosa e degna di essere vissuta.

Ma qualcosa di buono è venuto da questa esperienza?

La DAD è solo un’alternativa. Tuttavia, se continuerà a far parte della nostra vita, sarebbe utile cercare di viverla e utilizzarla al meglio. Anziché concentrarci esclusivamente sugli aspetti negativi, consideriamo anche gli aspetti positivi che, come sempre, anche in questo caso sono presenti.

Con la DAD è possibile sperimentare un modo diverso di fare scuola per cui l’utilizzo della tecnologia non avviene solo per svago e intrattenimento, bensì per comunicare e apprendere, quindi come ausilio fondamentale per la didattica.

Inoltre, questa modalità di studio permette di sviluppare una maggiore autonomia: consente di imparare a gestire il tempo, organizzarsi, migliorare le proprie competenze informatiche e sviluppare le capacità di adattamento.

Auspicando un ritorno alla vita che tutti desideriamo, dal profondo del nostro cuore, vorrei lasciarvi con la “metafora della perla” tratta da “Il vagabondo” di Kahlil Gibran:

«Disse un’ostrica ad un’altra ostrica sua vicina:

“Ho dentro di me un grande dolore.

È qualcosa di pesante e tondo,

ed io sono allo stremo!”

Replicò l’altra con altezzoso compiacimento:

“Sia lode ai cieli ed al mare,

io non ho nessun dolore in me.

Sto bene e sono sana dentro e fuori!”

In quel momento passava un granchio e udì le due ostriche,

e disse a quella che stava bene ed era sana dentro e fuori:

“Si, tu stai bene e sei sana,

ma il dolore che la tua vicina porta in sé

è una perla di straordinaria bellezza!”»

Un’ostrica che non è stata “ferita” da un granello di sabbia o altro corpo estraneo che entra al suo interno, non può produrre una perla. Quest’ultima è il prodotto di un dolore, quindi un’ostrica che non è stata ferita non può produrre una perla. Quante ferite ci portiamo, quante si sono cicatrizzate e quante ancora sono aperte, eppure è anche grazie a quel dolore se abbiamo imparato, se siamo cresciuti, se ci siamo arricchiti e se siamo quelli che siamo, nelle nostre fragilità la nostra forza.

*Le informazioni non costituiscono un parere professionale e non intendono sostituire la ricerca di un consulto individuale con un medico o altri professionisti sanitari qualificati. Il lettore non deve tralasciare o ritardare la ricerca di un parere medico a seguito delle informazioni reperite su questo sito.

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